Giulio DE MITRI, Michele DEPALMA, Mario DI CANDIA e Antonio NOIA sono i quattro artisti di esperienze e sensibilità diverse che, per la loro origine pugliese e la presenza nel proprio percorso artistico della rappresentazione del mare, Mina TARANTINO, curatrice della mostra, ha selezionato. Venti le opere esposte e commentate in catalogo da Anna D’ELIA, storica dell’arte: «Il mare interpretato e rievocato da Giulio De Mitri, Michele Depalma, Mario Di Candia, Antonio Noia è il mare immaginario e artificiale degli artisti che, prima di loro, hanno pensato e immaginato il mare. Dice Gaston Bachelard nel suo “Psicoanalisi delle acque”che numerose sono le simbologie legate alla fluida sostanza acquatica e dipendono dal colore e dalla trasparenza, dal movimento o dalla stasi e sempre rimandano a intimi recessi con allusione al nascere o al morire, alla vita, nel suo avvolgersi contorto o nel suo libero scorrere. Gli artisti amano vivere nella natura seconda che loro stessi inventano e ricostruiscono, una natura già abitata in epoche remote dal mito. Il mare che portano in galleria è perciò un mare sul quale posare sguardi e pensieri, ma questo non fa che complicare le cose, poiché un mare fatto di immagini, simboli, colori, materiali e forme è ancora più grande, profondo, avvolgente e misterioso. E tali sono le visioni che si accendono nel mare interiore di Michele De Palma che inonda le pareti del suo atelier con il mare visto dal riquadro della finestra, racchiuso da arcate, ringhiere, muri a secco, bianche facciate trasformate in un caleidoscopico incastro di forme e colori (1959). E’ attraverso i paesaggi mediterranei di un Matisse che l’artista ama, talvolta, ri-vedere il suo affaccio sull’Adriatico, in un incrocio di geografie corporee e spaziali, in cui la morbidezza delle forme femminili richiama quella delle barche e il colore sudato diviene più vibrante e carnale. Impossibile per chi è nato in Puglia, di fronte a scogliere o arenili sabbiosi, non confrontarsi con il mare colorato all’anilina di Pino Pascali racchiuso in trenta vasche quadrate, ciascuna di cm.113 per lato, per dire dell’enigmatica sfida di fronte alla quale l’infinito pone l’uomo, che è quella di restituirgli una misura umana che è sempre anche già forma. Ed è a questo mare geometrico racchiuso nella tensione tra orizzonte e riva, nell’ondulazione tra onde e vele, che dà corpo l’artista nel dipinto (1972) che, in una scacchiera marina, racchiude la gamma molteplice dei suoi colori, nell’incastro cangiante di azzurri, bianchi e lilla. E, se il suo è un mare visto dalla riva, quello che Giulio De Mitri racchiude in scatole luminose è un mare visto in immersione, i cui fondali si accendono e si spengono come fosse giorno e notte, restituendogli mutevole colorazione e consistenza, proprio come accade a chi nel flusso sia immerso, e non solo delle acque. Ma, il mare della mitologia e della letteratura si identifica soprattutto con le arcane figure da cui è abitato: sirene, meduse, delfini, orche marine, balene, lo sa bene Ulisse o quanti si sono avventurati negli oceani alla ricerca dell’altro da sé, l’ombra con cui venire a patti, per avere salva la vita. Ed è questo il richiamo che agisce su Mario Di Candia che ricostruisce la fauna acquatica in terracotta, ingigantendo e rimpicciolendo, sì che i molluschi assumano proporzioni gigantesche e i pescecani si riducano in dimensione da cartoon. È in atto la trasfigurazione ludico-fantastica che dalla “ricostruzione futurista dell’universo“ ad oggi, ha incontrato sul suo cammino numerosi interpreti sommando, al Sud, demone e demone. Il primo è quello della creazione, il secondo è quello del naturalismo. Il richiamo sempre troppo forte della natura rischia, infatti, di vanificare lo sforzo dell’artista che ne accetti la sfida, a condizione che la tecnica si raffini al punto da superare il creato. E’ che questo che giustifica il virtuosismo dell’autore? E’ questo che trasforma le sue mani che plasmano l’argilla in mani demiurgiche? Ma è il mare è anche dispositivo per guardare e scoprire un diverso rapporto col mondo: quello dei ritmi e delle maree dentro un’idea del tempo più fedele alla vita. E’ questo il mare che Antonio Noia rievoca, mimando alcuni gesti compiuti dal mare: scomporre, riassemblare, accatastare, limare, arrotondare. Nei suoi legni allineati e variamente assortiti, sì da scorgervi ora il lavoro del tempo ora quello della mano, c’è come il ripetersi di un mistero che non ci è dato conoscere, ma nel quale solo decidere di perdersi: una perdita che ha il sapore arcano di una vincita.»
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