HANNO SCRITTO DI LUI
MARCO GOLDIN
Come se un vento forte, tumultuoso, tutto aggrovigliato di nuvole e tenebre, avesse scosso, e quasi dilaniato, la pelle della terra; scorticata e ridotta alla sua nuda essenzialità, al suo candore primo; o estremo. In questo preciso momento, Renato Balsamo sa che la pittura, la sua, ha il potere di fissare ciò che si è fermato; ciò che , per un mistero non svelabile, ha cessato di correre. E così un tempo bloccato, l’immagine di un’arcana sospensione, di una tensione millimetrale della nostra storia, stanno tutte raccolte nella figura simbolo, in quel sacro monumento di natura che è l’ulivo grattato e scavato dalla forza delle piogge, delle luci livide, dal gonfiore di un tramonto mediterraneo; dall’arie secca che tutto a scarnificarsi riconduce. Balsamo ama la natura per quella parte di mistero che riesce a estrarvi, e inutile appare la domanda sul realismo nella sua pittura. Già vi ha fatto riferimento Tassi, e vale la pena di confermarlo: non per l’immagine finemente descritta, per l’esatta configurazione degli alberi come volti, cavità oculari da cui lampeggiano scure pupille di terrore; non per il pietrificato ondeggiare della chioma silente degli ulivi, vale questo racconto; o non solo. Sale invece dall’interno dei tronchi franti, vecchi come mummie o elefanti marini, raggrinziti e ossificati, non un grido ma un mormorio lieve, debole, faticoso a essere udito: il sibilo che fa il tempo quando lo si voglia interrogare, evocare nel suo spirito. Nulla vi è del labile realismo di rappresentazione, in queste immagini toccanti e poetiche, dove la luce della poesia non cessa di battere un solo istante, e dove il silenzio delle cose avvolge come un nero mantello il ciclo della natura mutevole. E a quale prodigio giunga questa pittura, fin dove si spingano la forza e l’ardimento, lo vediamo bene nel desiderio, ma, ancor più precisamente, nella volontà, di stringer quella mutevolezza dentro le leggi del tempo che più non varia; dentro il fiume livido e sbiancato, come attraversato da folle di nuvole temporalesche in corsa, dell’eternità. Su una scena da Grecia arcaica, su cui pare che l’uomo non cammini più da secoli ormai; abbassato fin quasi a far scomparire il punto dell’orizzonte, Balsamo proietta le lunghissime ombre degli ulivi contro la maestà funerea dei suoi cieli. Che son quasi sempre irti di nembi, agglomerati e concentrazioni di bianco latte divino, che mai non piove sugli aridi spazi dove si levano, invocanti verso l’alto, le secche braccia dei rami. Rami monchi, come di chi sia stato tradito nel momento della preghiera, nel momento della parola finale. E che sempre questi spazi possiedano una dimensione sacra, tragica, da ultima ora avanti che venga il finale giudizio, lo dice bene quel cielo che precipita, si tende fino a terra, avvolgendo il paesaggio senza però indistinguerlo.Cielo che si fa intorno, strettissimo, anche alle numerose nature morte; melograni aperti, cesti di frutta casualmente abbandonati su un tavolo che sono gli emblemi di quella che fu la vita, e ora non lo è più. Per giungere a questa perentorietà, a questa fredda, glaciale definizione, Balsamo aveva bisogno di evocare, della natura, l’aspetto di più insistito mistero, di più circonfusa pietà dentro il vasto distendersi dell’atmosfera. Come cattedrali dentro un limbo, o caverne preistoriche sulla ventosa e rossa savana pietrificata, gli ulivi di Puglia sono il monumento al mistero, al silenzio; sono, di più, tutto intero, il senso del destino che grava su di noi. E questo naturalismo che fa delle fronde il colore della pietra, mostra così di sentir vicino lo spirito di taluni grandi pittori di natura del primo Ottocento inglese; quando i grandi, immensi ghiacci delle Alpi, le nebbie sublimi della perdizione, le burrasche ai bordi dell’Oceano, erano tutto questo assieme al racconto di un dolore, di una sofferenza: occhi che si spalancavano, prima del tempo, sull’abisso. Quell’abisso, quel confine, quella striscia di frontiera, Balsamo ha scelto di dirlo racchiudendo come in una stanza gli eventi atmosferici, che in quella stanza invisibile entrano da un’ altrettanto invisibile finestra. E’, ancora, quel senso di mistero che soffia sotto tutta la cenere delle praterie rinsecchite che non danno ormai più linfa ai tronchi che sono torba, carbone, lignite. E, come per uno scherzo del destino, per un’inversione, chissà se consapevole, dei ruoli, questo spirito nordico si innerva in un paesaggio mediterraneo: sia quello di Puglia, o sia quello, fascinoso di rocce e acque, della costiera sorrentina; più raramente il lungomare ligure, o l’elettrica linea delle colline toscane, che però occhieggia luminescente in una bellissima tele dipinta in questi ultimi mesi. E, fatto ancor più curioso, Balsamo dipinge le sue storie nordico - mediterranee lavorando nel sottotetto di una straordinaria casa ampezzana in faccia alle Dolomiti. …
Tratto da “Occhi d’ulivo” di Marco Goldin
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